Dovere d’informazione da parte del datore di lavoro
Il datore di lavoro è tenuto a informare le lavoratrici mediante affissioni – o mediante altre modalità idonee – in ordine alle vigenti disposizioni in materia di tutela generale della maternità (art. 47 cpv. 1 lett. b LL, art. 69 cpv. 2 OLL1). In particolare, si tratta delle seguenti disposizioni: articoli 35, 35a e 35b LL, articoli 60-66 OLL1 (cap. 5 Protezione speciale delle donne).
Il datore di lavoro deve informare la lavoratrice che esercita un’attività gravosa o pericolosa («in tempo utile» stabilisce l’ordinanza). Egli è tenuto altresì a fornire informazioni esaurienti e istruzioni appropriate in ordine ai rischi che l’attività svolta comporta sulla gravidanza o per la maternità, come pure le misure prescritte (art. 63a cpv. 4 OLL 1).
Il datore di lavoro è poi tenuto a vigilare che le lavoratrici si rendano conto dei rischi a cui sono esposte e adottare le opportune misure. Egli deve istruirle in modo da prevenire eventuali rischi e applicare in concreto le necessarie misure di protezione disposte. Egli deve accertarsi che le misure siano osservate e – all’occorrenza – deve imporle. Da parte loro, le lavoratrici assumono una corresponsabilità e, pertanto, sono tenute a collaborare attivamente (art. 6 cpv. 3 LL).
Alla lavoratrice incinta o in allattamento si consiglia di assumere le necessarie informazioni presso il datore di lavoro in ordine alle sostanze dei prodotti che utilizza; tali dati figurano sulle etichette di sicurezza (fiche) che accompagnano la fornitura dei prodotti.
Tale obbligo d’informazione rinasce ex novo in caso di eventuali cambiamenti delle condizioni di lavoro gravose o pericolose all’interno della medesima azienda.
Dovere d’informazione da parte della lavoratrice
Occorre distinguere tra due periodi: in fase di assunzione e durante il rapporto di lavoro.
Fase di assunzione
In questa fase, la lavoratrice non ha alcun obbligo di comunicare spontaneamente la propria (eventuale) gravidanza. Tra l’altro, le domande che il (potenziale) datore di lavoro potrebbe porre in tale contesto, quali: «è incinta?», «ha intenzione di avere presto bambini?» sono illecite; infatti, da un canto – simili domande – riguardano la sfera privata, e come tale tutelata da interferenze del potenziale datore di lavoro (JAR 1994, 128), dall’altro, simili domande configurano violazione del divieto di discriminazione ai sensi dell’art. 3 cpv. 1 e 2 LPar.
In tale ambito esiste quindi, per così dire, un «diritto alla menzogna». In effetti, le regole fondamentali sulle modalità di agire in ordine al vigente principio della buona fede in materia pre-contrattuale devono essere interpretate in modo restrittivo e non si riferiscono che agli elementi direttamente collegati all’esecuzione dell’attività prevista. Pertanto, la lavoratrice non è affatto tenuta a dire la verità, trattandosi di difendersi da un’ingerenza nella propria sfera privata. Dal canto suo, il datore di lavoro non potrà lamentare la insincerità della risposta, né chiedere l’annullamento del contratto di lavoro appellandosi a un presunto vizio di consenso (ai sensi dell’art. 23 e seg. CO), né tantomeno potrà giustificare un licenziamento in tronco.
Eccezione: qualora la gravidanza abbia un’incidenza rilevante sulla prestazione di lavoro alla quale la lavoratrice è tenuta. In simili casi, quando cioè la gravidanza impedirebbe l’esecuzione dell’attività da svolgere (danzatrice, modella, lavori pericolosi per la gravidanza – esposizione a radiazioni, contatto con prodotti tossici – o lavori fisicamente gravosi ed esigenti, ad esempio quale cameriera – JAR 1984 p. 95), il datore di lavoro ha la facoltà di porre domande relative alla gravidanza attuale o prevedibile a breve; in tal caso allora la lavoratrice (da assumere) è tenuta a dire la verità.
Durante il rapporto di lavoro
La lavoratrice che intende beneficiare della tutela a lei spettante in ragione della gravidanza è tenuta, ovviamente, a comunicarla al proprio datore di lavoro.
Dovere d’informazione da parte del medico
In caso di lavoro gravoso e/o pericoloso la valutazione dello stato di salute della lavoratrice spetta al medico che segue abitualmente la gravidanza (art. 2 cpv. 2 Ordinanza sulla protezione della maternità).
In tal caso, il certificato medico porterà unicamente la menzione «inadatta», « adatta» oppure «parzialmente adatta» (art. 45 cpv. 3 OLL1). I dati medici sono confidenziali.
In caso di attitudine parziale, il medico che procede all’esame è esonerato dal vincolo del segreto professionale verso il datore di lavoro nella misura in cui i provvedimenti e l’adozione delle misure di tutela nell’ambito dell’azienda siano necessarie, e la lavoratrice vi consenta (art. 45 cpv. 5 OLL1).
In virtù della vigente legge sulla protezione dei dati (art. 8 LPD) e dell’art. art. 89 OLL1 che sancisce il diritto ad essere informati, la donna interessata ha diritto d’accesso al proprio dossier, come pure il diritto di fornire dati, rettificarli e di farli, eventualmente, cancellare. Le informazioni devono essere fornite gratuitamente da parte del datore di lavoro, in forma di stampa o di fotocopia (art. 8 cpv. 5 LPD). La persona non può rinunciare ad avvalersi del diritto all’informazione (art. 8 cpv. 6 LPD).
Salvo eccezioni, i dati sensibili (ad esempio, quelli contenuti nel referto medico sullo stato di salute della donna e simili), non possono essere comunicati senza che la lavoratrice interessata ne sia informata e senza che sia a conoscenza delle ragioni della eventuale comunicazione di tali dati, per potersi preventivamente esprimere in merito (art. 83 cpv. 1, 2 e 3 OLL1).
Il consenso da parte della lavoratrice si presume allorquando la comunicazione dei dati rivesta estrema urgenza per i destinatario, la comunicazione avvenga nell’interesse della stessa lavoratrice e la richiesta di presa di posizione dell’interessata sia impossibile in tempo utile (art. 44a cpv. 3 LL, art. 83 cpv. 4 OLL1).
L’eventuale persona incaricata della difesa degli interessi della donna incinta o della madre che allatta, occupata in lavori gravosi e/o pericolosi dovrà legittimarsi mediante procura scritta e presentare domanda motivata al fine di ottenere documentazione relativa a dati sensibili (art. 44a cpv. 2 LL).
Naturalmente il diritto d’informazione e di consultazione dei lavoratori/delle lavoratrici o i loro rappresentanti all’interno dell’azienda non è riconosciuto in questo caso (dati sensibili).
Lo specialista, esperto o ispettore specializzato è tenuto a custodire il segreto rispetto a terzi sui fatti di cui è venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni. Egli ne è informato per iscritto (art. 44 LL, 82 cpv. 1 e 2 OLL1).