In presenza di eventuali molestie psicologiche – sia che provengano dal datore di lavoro stesso, sia da terzi in azienda – vengono violati i diritti della personalità del lavoratore.
Per diritti della personalità s’intende tutto ciò che è inerente all’essere umano per il solo fatto della sua esistenza, quali, la vita, l’integrità fisica e morale – quest’ultima peraltro riguarda altresì la reputazione professionale ed economica – le libertà individuali, quali la libertà di coscienza, di aderire ad un sindacato, la libertà sessuale e la sfera privata che comprende quella intima.
Il datore di lavoro è tenuto, in primo luogo, ad astenersi egli stesso dal ledere i diritti della personalità dei collaboratori, direttamente o indirettamente.
Esempio 1 : il datore di lavoro può, essendo a conoscenza della gravidanza di una
lavoratrice, essere tentato di farle pressione per indurla a lasciare il lavoro; simili
pressioni e intimazioni sono illecite.
Esempio 2 : il datore di lavoro è tenuto a rispettare la lavoratrice e, nella misura del
possibile, tener conto delle difficoltà e delle condizioni della sua vita privata, se ha
figli, per esempio.
Ma il datore di lavoro è altresì tenuto ad adottare le misure necessarie per fa sì che il
personale non subisca pregiudizi da parte di terzi (organizzare il lavoro in modo funzionale, disporre direttive, vigilare, porre fine a violazioni di diritti e simili).
L’atteggiamento da tenere da parte della donna vittima di molestie psicologiche – a causa dell’eventuale gravidanza, per farla smettere di lavorare – dipende evidentemente dalla specifica situazione che di volta in volta viene a crearsi.
Se la molestia non è grave, e resta sopportabile, la futura madre ha interesse a pretendere di continuare l’attività dopo il congedo di maternità, anche quando pensi di smettere. Volendo, potrà sempre dare le dimissioni dopo il parto, nel rispetto del termine di disdetta. Ma, in determinati casi, la molestia può assumere connotati più gravi e potrebbe avere effetti sulla salute psico-fisica della lavoratrice.
Esempio 1 : il datore di lavoro confina la lavoratrice in una stanza senza darle lavoro, con il divieto di lasciare la stanza salvo per andare al WC, e di fare qualsiasi cosa (anche leggere il giornale o parlare con i colleghi) – viola l’obbligo di tutela. La lavoratrice che tronca il lavoro con effetto immediato per giustificati motivi sarà legittimata a reclamare il salario fino alla scadenza del termine di tutela (contro il licenziamento: durata della gravidanza e 16 settimane successive : causa no X/455/93 della «Chambre d’appel» del giudice del lavoro di Ginevra, non pubblicata);
Esempio 2 : allo stesso modo, la donna incinta che si fa licenziare con effetto immediato per giustificato motivo a seguito di tensioni esacerbate con il superiore – nello specifico, a proposito della restituzione di un classatore che non conteneva documenti confidenziali o appartenenti all’azienda – è legittimata a reclamare il salario fino alla scadenza del termine di tutela, come pure l’indennità per risoluzione ingiustificata del rapporto (art. 337 e 337c CO) ; da notare che in questo caso la gravidanza sembra svolgere un ruolo marginale (causa no IX/1109/94, « Chambre d’appel » del giudice del lavoro di Ginevra, non pubblicata);
Esempio 3 : talvolta, il datore di lavoro assegna intenzionalmente lavori gravosi alla
lavoratrice incinta per indurla a dare le dimissioni. Un simile comportamento
dovrebbe essere sanzionato gravemente perché mette a rischio la salute della madre e
del bambino, contravvenendo agli obblighi di cui alla legge sul lavoro.
Di fronte alla molestia psicologica, la vittima dispone di più azioni di tutela, magari con l’intervento di un sindacato; qui di seguito i più significativi strumenti di tutela.
Azione individuale
La lavoratrice può agire sulla base del Codice delle obbligazioni, invocando la mancata tutela della sua personalità; per poterlo fare, occorre che il datore di lavoro costituisca soggetto di diritto privato; oppure – quando è di diritto pubblico – che nei suoi confronti sia applicabile il Codice delle obbligazioni. In ogni modo, in quest’ultimo caso si resta nell’ambito del diritto amministrativo.
In questi casi, la persona si mette in aperto conflitto con il datore di lavoro e chiede al giudice la tutela dei suoi diritti. Questa soluzione è raramente utilizzata in corso di rapporto di lavoro.
Azione con l’intervento di organi pubblici
La lavoratrice potrebbe agire in virtù della legge sul lavoro che tutela ugualmente la
personalità dei dipendenti, e offre, nel contempo, una particolare tutela alla donna incinta, partoriente o in allattamento. Inoltre, occorre verificare che la legge si applichi al caso particolare. La lavoratrice può rivolgersi più efficacemente all’ispettorato del lavoro. Lo stato interviene e impone al datore di lavoro di risolvere il problema. In caso di inosservanza, l’autorità può disporre sanzioni amministrative o penali e può altresì denunciare il caso al ministero pubblico. Nel caso in cui, ad esempio, la donna incinta si vede deliberatamente assegnare lavori gravosi, nonostante il suo stato, l’ispettore cantonale del lavoro potrà suggerirle di rifiutarsi di ottemperare agli ordini del datore di lavoro e chiedere comunque il pagamento del salario. Alla luce di questi presupposti, in nessun caso il datore di lavoro potrà licenziarla.
Un’azione ai sensi della legge sulla parità dei sessi è altresì possibile quando la molestia è di natura sessuale (v. molestie sessuali).